eco fashion

 

Arance, latte e ortica: i tessuti che fanno bene alla pelle

 

 

Tessuti realizzati da fiori e piante, latte di riso o di mucca, arance regalano benessere senza sacrificare l'estetica. Ecco i vari tipi di stoffe, come si realizzano e i benefici per la pelle e il corpo

 

di Irma D’Aria

 

 

Vestirsi di natura per rispettare l’ambiente e indossare capi che regalano benessere. Si può fare grazie ai tessuti creati con gli scarti delle arance, che rilasciano sulla pelle i principi attivi di cui sono ricche. Ma c’è anche il tessuto creato con il latte dalle proprietà idratanti, quello con canapa e ortica che ha caratteristiche antistatiche, traspiranti e termoregolatrici (e non è urticante). Tessuti che rispettano l’ambiente e la pelle senza sacrificare l’estetica, ma anzi fornendo nuovi spunti per una creatività ecosostenibile. Proprio i tessuti naturali sono protagonisti della mostra “La stoffa delle artiste” che si svolge dal 15 novembre al 7 dicembre a Treviso e che ha come protagonisti i tessuti ecosostenibili: dall’ortica alla fibra di latte, dalle “tele vegetali” tessute con i fiori al tessuto… che si mangia.

Abiti eco-dermo-compatibili

Vestirsi di fibre naturali fa bene all’ambiente e anche alla nostra pelle: “Tutto ciò che nuoce all’ambiente danneggia anche il nostro organismo perché la pelle non è solo un rivestimento ma un vero e proprio organo che assorbe tutto ciò con cui viene in contatto” spiega Pucci Romano, presidente dell’Associazione Internazionale di Ecodermatologia SkinEco. “Per tutti, ma in particolare per chi ha una pelle sensibile o soffre di allergie, è importante evitare i tessuti sintetici come poliestere, nylon e metacrilati che sono derivati del petrolio e possono irritare la pelle” prosegue l’esperta che si dice entusiasta dei tessuti al latte e agli agrumi senz’altro più affini alla nostra pelle.


Vestirsi di latte

Intero, scremato e pure di riso: oggi ci si può letteralmente vestire di latte. Questo tessuto in realtà ha radici antiche. Il filato di latte nasce, infatti, in Italia negli anni Trenta da un’idea dell’ingegnere bresciano Antonio Ferretti, primo ad ottenere una fibra dalla caseina. Oggi la fibra, naturale ed ecologica, si ottiene grazie a tecniche di bioingegneria. “La fibra di latte è leggerissima perché ha un peso inferiore del 10% rispetto alla seta e del 13% rispetto al poliestere. Inoltre, fa bene alla pelle, anche alla più delicata. Gli amminoacidi del latte che restano all'interno della fibra, infatti, nutrono e idratano la pelle” spiegano Elisa Volpi e Antonella Bellina, le due giovani fondatrici dell’azienda Duedilatte (Pisa). Il tessuto ottenuto con il filato di latte coccola chi lo indossa poiché oltre ad essere anallergico e traspirante, è leggero e soffice, ha una mano morbidissima e un aspetto luminoso. Molti vestiti sono realizzati unendo il filato di latte al cotone organico. “L'intreccio di questi due filati assolutamente naturali, realizzati nel pieno rispetto dell’ambiente, ha dato origine al denim di latte: resistente ma leggero, delicato sulla pelle grazie alle sue proprietà idratanti”. Accanto alla fibra di latte, l’azienda toscana lavora la fibra di riso. La cellulosa in essa contenuta dona al filato ed al tessuto estrema morbidezza e flessibilità, rendendolo paragonabile al cachemire.

Il ritorno della canapa

“Per fare tutto ci vuole un fiore”, cantava Sergio Endrigo negli anni Settanta. In effetti, quel fiore miracoloso esiste davvero e si chiama canapa. Si tratta di una delle poche piante coltivate sin dall’antichità, sia in Oriente che in Occidente, ed essendo un diserbante naturale (la sua presenza “soffoca” le erbe infestanti) non ha praticamente bisogno di concimi né di pesticidi, aggiudicandosi così la palma di coltura più ecologica. “La canapa ha una lunga tradizione nel Bellunese dove veniva utilizzata per realizzare indumenti come camice da notte o fasce per bebé e prodotti tessili per la casa come canovacci e tovaglie” spiega Daniela Perco, antropologa e direttrice del Museo Etnografico della Provincia di Belluno che sulla canapa condurrà un convegno nell’ambito della mostra “La stoffa delle artiste”. Molto in uso era anche la “mezzalana”, ossia la fibra mista di canapa e lana, per realizzare gli indumenti più esposti all’usura: infatti la fibra di canapa, più resistente, aveva la funzione di mantenere il capo, mentre la lana con il tempo andava consumandosi. Oggi la canapa torna protagonista e viene utilizzata per maglieria, tessuti per tende, tappeti, abbigliamento casual e persino abiti da sposa.

 

Vestiti vitaminici

Partendo da un problema, quello dello smaltimento degli scarti dell’industria agrumicola (che ammontano a oltre 700 mila tonnellate all'anno), è nata l’idea di Orange Fiber, ovvero utilizzare appunto gli scarti delle arance per creare prodotti ecosostenibili, come capi di abbigliamento in grado di rilasciare vitamine sulla pelle. “Dagli scarti delle arance, viene estratta la cellulosa che serve per la filatura. Attraverso le nanotecnologie l’olio essenziale di agrumi viene incapsulato e fissato sui tessuti. Da qui, ha inizio un processo di rottura delle microcapsule presenti nel tessuto che comporta il rilascio delle vitamine sulla pelle” spiegano Adriana Santanocito ed Enrica Arena, le due fondatrici di Orange Fiber. “Così otteniamo un capo non solo bello ma funzionale al benessere del consumatore che sente la pelle più morbida, come se si mettesse la crema al mattino. Gli abiti non ungono e la pelle viene nutrita. Questa caratteristica è garantita per almeno una ventina di lavaggi, ma stiamo studiando anche le modalità per la ricarica con ammorbidenti specifici". I primi vestiti agli agrumi dovrebbero essere sul mercato a febbraio 2015 ma servono fondi per finanziare la ricerca e lo sviluppo di un nuovo processo che consenta non solo di fissare le microcapsule vitaminiche ai tessuti, ma anche di prolungarne la vita. Proprio in questi giorni Orange Fiber lancia una Reward Based Crowdfunding, ovvero una raccolta fondi a fronte di ricompense che durerà fino ai primi di febbraio.

Preziosa ortica

Fa parte dei cosiddetti tessuti dimenticati e che fino a settanta o ottanta anni fa era molto usato. E’ grazie a questa preziosa fibra, infatti, che durante la grande guerra venivano tessute le garze per medicare i soldati feriti e persino le uniformi dell’armata di Napoleone erano tessute in ortica. Realizzarlo, però, è molto impegnativo: da un fascio di cinque chili di ortica fresca si ottengono appena 15 o 20 grammi di filato, che poi viene tinto con i pigmenti di alcune piante spontanee e colorate come reseda, robbia tintoria, papavero, betulla o noce. “Una maglia di ortica è davvero un capo prezioso: per realizzarla, dalla raccolta delle piante al confezionamento, ci si può impiegare anche un anno e mezzo” dice Michela Musitelli, artigiana di Enego (Vicenza), che sull’altopiano di Asiago coglie, fila e tinge con pigmenti naturali l’ortica. Oggi la fibra dell’ortica, che è simile a quella del lino, viene utilizzata, per ora solo a livello artigianale, per realizzare maglie e camicie perché ha buone caratteristiche antistatiche, traspiranti e termoregolatrici.